domenica 22 dicembre 2013

IL VOLO

I Protagonisti:


-          Una parete: Cattedrale di roccia edificata in mezzo al nulla.
-          Una figura mitologica: rappresentazione delle fughe; disperate.
-          Un arrampicatore:  lucidità nell’accettare una perdita, consapevolezza che li finisce la sua vita. Scegliendone                                   i termini.
-          Una persona: il ricordo.
-          Una musica: “Tiempo y Silencio”, Cesária Évora.                                                                     http://youtu.be/g6p2RHmrwNg       


L’effetto delle parole dipende dal momento in cui ti sono rivolte

“La mitologia narra che Dedalo, per fuggire dal labirinto, costruì delle ali con delle penne che attaccò al proprio corpo, ed a quello del figlio Icaro, con la cera. Nonostante l’avvertimento del padre, di non volare troppo alto, Icaro si fece prendere dall'ebbrezza; salì talmente in alto verso il cielo che avvicinandosi troppo al sole questi ne fuse ciò che sino a quel momento gli permise la lotta contro la forza di gravità. Il volare. Il volo.
Anche oggi, come nel passato, io non salirò verso il cielo utilizzando ali di cera, anzi è sin troppo plateale il “salire verso il cielo”. Pur se il “salire” una montagna, scalare una parete, è anche un po’ questo.
Oggi non salirò neppure con il consueto, rassicurante, peso della corda, e nemmeno con quello del materiale d’arrampicata appeso a vita –anzi di solito, è la vita a essere appesa ad esso– moschettoni, rinvii e quant’altro. No, oggi sarò leggero e l’unico, misero, peso sarà quella fastidiosa sensazione che ci prende nei momenti in cui la sicurezza viene a mancare. Paura. Si è questo, è proprio questo che mi spinge: la sensazione di vittoria contro il proprio Io.
Il Volo. Sto andando verso il Volo finale, l’ultimo poiché dopo - dopo il volo intendo – non ci sarà più nulla. Si sto andando incontro l’ultima salita, verso l’ultimo sole. Esso continuerà a sorgere e tramontare, ma non più per me. Non pensate al gesto schizofrenico di un uomo allucinato, non più in se. Sono perfettamente lucido e determinato.
A tratti, salendo, avvicinandomi alla parete, la mia parete - quella che più di tutte mi ha regalato la possibilità di disegnarci su linee sognate – sorrido e penso alla meticolosità con la quale ho sempre preparato ogni solitaria; la Via, l’itinerario, la sequenza dei movimenti nei tratti più difficili e il ritorno. Già, il ritorno.
Anche oggi voglio evitare ogni errore, ogni possibile pericolo. Devo finire la Via, uscire nel punto più alto, e poi? E poi cosa? Il nulla.
Mentre cammino, m’immagino lassù, mi vedo pronto, nessuna esitazione, proteso alla volta del vuoto. Incontro al Volo, sarà magnifico. Trecento metri mi separeranno da che egli finisca, si concluda; che sensazione proverò?
Che cosa ha provato Icaro, terrore? Certo lui non l’ha voluto ne cercato, non così. La mia è una scelta e questo fa la differenza. Perché? Ho i miei motivi, non è un suicidio è libertà, e non è un crimine contro la vita scegliere di morire, è una scelta di vita.
Sono arrivato, mi preparo e mi sento come un guerriero antico all’atto della vestizione. Non ho però i colori di guerra, né nemici da sconfiggere. Io ho già lottato, non ho né vinto e nemmeno perso, ho vissuto quello che volevo, forse non tutto, ma ho vissuto godendo di questo dono. Non son stato solo, né mai mi ci son sentito. Ho amato e sono stato amato. Ho dato e ricevuto amicizia. Ecco, si amici veri ne ho, loro, forse, capiranno.
Non sono, e non sono stato, però così onesto, né così buono e neppure dotato di grande morale. Sono un uomo, traditore ed anche un po’ ladro. Menefreghista? Sì, anche questo, ma tutto in equilibrio con ciò che mi ha circondato.
Sono pronto, unica concessione il sacchetto con la magnesite, bianca e un po’ magica polvere; pucciarci dentro le mani è anche un gran bel gesto, infonde sicurezza; eppure non mi sento come l’angelo biondo e seminudo, scalzo e slegato che tutti abbiamo visto danzare sulle grigie rocce del Verdon. In primo luogo non sono biondo, almeno non più, e i miei capelli son corti, quasi rasi. Neanche ho i suoi muscoli, e la mia, di Via è ben più facile. Ha importanza tutto ciò?
Sarò allora uno dei parassiti dello scritto di Ugo Manera, oppure uno dei Falliti dello testo più conosciuto di Gian Piero Motti anch’egli morto suicida. Sì, di sicuro, oggi, qualcosa mi legherà in qualche modo a lui.
Anche se per diverse motivazioni e modalità d’uso, io, d’altronde, nella mia lucidità, motivazioni precise non ne ho. Ma lui si, ne ebbe? Cambia forse qualcosa? Quello che conta è il dopo, è chi rimane. Credo che sarà proprio questo pensiero che alla fine della parete, alla fine della scalata, rappresenterà l’ultima difficoltà, il vero tratto chiave.
Salgo, e come al solito tentenno nei primi metri, devo acquisire sicurezza.
Cinquanta metri e sono alla prima sosta che, ovviamente, non ha, per me ora, significato alcuno, ne approfitto per raccogliere pensieri e dubbi, dubbi? Poi faccio pulizia, li lascio al vento, la mia mente è libera, adesso. La cengia è comoda, una sigaretta,  mi siedo a gustarmela.
La mia Via prosegue più a sinistra con una placca delicata, tratto chiave della salita…per ora. Lei attende il mio passaggio, è una splendida lavagna grigia ed io la disegnerò con la magnesite e il gesto, lieve, preciso.
Ecco uno dei piaceri dello salire soli e slegati: cosa e quanto conta la distanza che ci separa dall’ultimo ancoraggio? Solo il movimento, come unico aggregante alla sequenza di piccoli appigli, importa. La mia mente è assolutamente sgombra, non esiste più la paura, né l’apprensione di riuscire ad arrivare alla sosta successiva.
Esiste solo il riuscire a proseguire senza soluzione di continuità, sino alla fine. Buffo dato ciò che mi aspetta, la fine. Non c’è futuro vicino o lontano nelle solitarie, e, volendo filosofeggiare, non esiste neanche il presente, è già passato nel momento in cui il pensiero diventa gesto.
E’ bella la vita, qui, ora. Come scrisse Jean Marc Boivin “…amo la vita, da morire..”.
Aggiungo io: per essa.
Seguo l’inutile linea di placchette luccicanti lungo la placca che -stupenda fusione di antiche rughe, nei, e piccoli seni da accarezzare- sta finendo. Proseguirò per i diedri e le fessure finali.
Oggi non è neanche una di quelle giornate in cui verrebbe da dire: è un bel giorno per morire; il cielo si sta annuvolando, fa freddo, che schifo di settembre. Non ci bado molto, se anche dovesse piovere da qui a poco io, sicuramente, non me ne accorgerò, né vivrò la splendida sensazione che si ha quando, al ritorno da un’ascensione, si entra in piola, magari in una giornata uggiosa come questa.
Vino e acciughe non saranno nemmeno un ricordo.
La vetta è sempre più vicina, che strana impressione.
Unico rammarico: a chi lo racconto?
Tre sono i momenti più belli dall’arrampicata, oltre al vissuto.
Togliersi le scarpette, entrare in un locale e raccontarsi.
Sono qui, l’ultima lama, l’ultima fessura, l’ultima corta placca.
Il sottile piacere che si prova nel sentire i muscoli che rispondono infondendoti sicurezza, ti danno potere, vita…già, vita…ne godo appieno.
Esco su facili rocce raggiungendo la vetta, con il vento che aumenta e che ti fa sentire l’odore della pioggia che arriva. Lontano s’intravvedono, tra le nuvole, colonna d’acqua che si avvicinano.
Che stupido, mi son messo il casco, gesto inutile, lo levo. Ho i capelli scompigliati, i pochi che mi rimangono, sudati. Vi passo una mano sopra, ad accarezzarli; momento in cui ti senti un po’ grande e un po’ più bello. Quante cose sciocche mi passano per la mente.
E ora? Come procedo ora? Guardo di sotto, la conoide di detriti così ripida a salire è ora, in prospettiva, assolutamente piatta. Sono pronto.
Volare, ecco il dubbio che svanisce. Io non volerò, io cadrò.
Il “volo”…già, l’alpinista, lo scalatore è sempre stato un po’ megalomane, lui non cade, lui vola. Palle! Quando la terra ti viene incontro, così velocemente stai solo cadendo. Immagini della tua vita che ti scorrono davanti; no, grazie, preferisco queste: sono inedite.
Questo non cambierà le sensazioni che vivrò, -sembra un gioco di parole- cambia però il sogno; per anni ho sognato il “volo” e oggi che son qui, pronto, scopro questo pensiero.
Non ho tentennamenti comunque, chissà cosa penseranno gli altri e perché me lo domando.
Io sono qui, che scrivo, ad un passo dal vuoto, ancestrale paura dell’uomo, e pronto ad affrontarlo. Ecco, chissà se queste e le prossime immagini rimarranno impresse, come dicono, nelle retine, e se anche fosse?
Vado! Ora! Pensiero ed azione.
Quanti secondi per coprire lo spazio che mi separa dalla pietraia?
Un salto…esito troppo, come una scena al rallentatore sporgo una gamba nel vuoto, ruoto sull’altra, su me stesso.
Mi fermo.
Rido di una risata che non è schizofrenia, è gioia.
Ora vi aspetterete qualcosa del tipo -…è tornato il sole, la sua luce mi pervade l’anima, comprendo ora che devo vivere, tornare a casa…-.
Niente di tutto ciò.
Sta iniziando a piovere, ed io, semplicemente, voglio bagnarmi.
Richiudo il sacchetto della magnesite e cerco il casco, ora si che è utile, non mi va di bagnarmi gli occhiali.
Le scarpe, accidenti! Quelle le ho lasciate all’attacco, non mi sarebbero dovute servire.
Inizio a scendere imprecando per la roccia scivolosa. Scendo per l’altro versante disarrampicando tra cenge e canalini.
Di fronte a me si lasciano intravvedere, in lontananza, la catena dell’Oronaye e a Nord la sagoma del Monviso, ancora al sole. Da lassù si che sarebbe bello…volare, ma è questa la parete che amo di più.
Ho in essa il ricordo, indelebile, di una giornata che ha segnato il mio presente. Piovve anche quella volta, e quello che ne conseguì ha lasciato tracce, ancora evidenti, nel corpo e nell’anima di una persona smarrita.”

“So che ti ho amato
da quando ho memoria di te,
qui,
nel luogo dove l’amore è azione,
è coraggio,
non semplice parola…”      



…è nel momento in cui ti rendi conto, con assoluta certezza che stai per morire, che tutto sta per finire; che sei pronto ad accollarti rischi inconsiderabili prima…

Marco©



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